PICCOLI SUICIDI FRA AMICI & BALTIC PORTER

IL LIBRO DI OGGI: “Piccoli Suicidi fra Amici”, di Aarto Paaslinna, Iperborea, 260 pag, 14 euro.
LA BIRRA DI OGGI: “Kalevipoeg” di Cigar City, Baltic Porter, 9°.

Su venti edizioni dei Mondiali di Calcio disputate dal 1930, la Nazionale Finlandese non s’è MAI qualificata.

Anzi, mi correggo: si è qualificata una volta sola, nel 1950, salvo poi ritirarsi al primo turno.

Ritirati dai mondiali. Na cosa ridicola, proprio. Uno aspetta decenni per qualificarsi a un cazzo di mondiale e, UNA volta che ci riesce, si ritira. Che fenomeni.

Hanno pure la sfiga di essere un paese freddissimo e inospitale, quelli della Finlandia, quindi nemmeno a dire che possono buttarla in caciare e offrirsi di ospitare la manifestazione (guadagnando così la qualificazione d’ufficio, in quanto nazione ospitante).

Nel 1990 era l’Italia la nazione ospitante. Non che a noi servisse questo per qualificarci, avevamo gente come Zenga, Baresi, Ferrara, Ancelotti, Baggio. Mancini, Vialli, Donadoni. E soprattutto lui: Totò Schillaci.

Un sicilianotto con gli occhi allucinati che era arrivato in nazionale quasi per caso, per fare la riserva a Carnevale. In linea puramente teorica, lui il campo lo avrebbe guardato dalla panchina per tutto il tempo.
Poi, la vita. Totò alla prima partita entra. E segna. Alla seconda entra e non segna ma gioca bene. Alla terza, segna. Alla quarta pure – insomma, per farla breve: l’italia finisce il mondiale al terzo posto, Schillaci timbra sei gol e viene eletto capocannoniere e miglior marcatore del torneo. Una goduria, il premio di consolazione per milioni di tifosi italiani che in semifinale hanno visto un’italia bellissima eliminata dall’Argentina del grande Maradona.

Pensa tu quindi che sfiga: mentre noi guardavamo Schillaci segnare a raffica, questi non solo non potevano guardare nessuno, ma si sono pure subiti un uragano terribile (uragano Daria, quasi 5 milioni di euro di danni).

Per consolarsi un po’, uno dei loro maggiori scrittori, Aarto Paaslinna, nel 1990 pubblica un libro. E ispirato dalle gioie che la vita finlandese offre, lo intitola con un titolo che ispira gioia e felicità: “Piccoli suicidi fra amici”.
La vita,in Finlandia, deve esse na merda rara.

Comunque sia, “Piccoli Suicidi fra amici” è un libro godibile. La storia, in breve: due tipi vorrebbero farla finita. Non insieme, indipendentemente l’un l’altro. Per caso si incontrano proprio nel momento topico e uno salva l’altro impedendogli di morire. Ma perché? In fin dei conti è quel che voleva fare anche lui.
Ci riflettono un po’ insieme. Chissà quanta altra gente vorrebbe farla finita, in quel momento, in Finlandia.
Avessero almeno un Totò Schillaci da guardare forse qualcuno si salverebbe ma, così… difficile.

Allora, in mancanza di attaccanti siciliani, almeno farla finita tutti insieme – questo si, questa sarebbe una buona idea.
Nasce così questo club di suicidi, che si riuniscono tutti insieme in una spedizione tragicomica diretta a Capo Nord, dal quale si lanceranno tutti insieme a bordo di un bus extralusso.

Come i Lemmings. No, non ho detto Gremlins, ma Lemmings, Lemmings, Lemmings. I sorci che si lanciano in acqua e muoiono quando diventano troppi. Che poi non si sa se questa cosa è una bufala o è vera, ma se pensi che c’è cascato pure Primo Levi (“Verso occidente”, 1971) se è una bufala è ben congeniata.

Non vi svelo il finale, che non si fa.
Vi svelo, però, con quale birra vi consiglio di leggere questo libro.

Ma prima….

NOTA AL DETRATTORE – Ciao, mio buon amico che incespichi su questo blog e non sarai d’accordo con quello che scrivo. La “Nota al Detrattore” è ormai un classico dei miei post ed è riservata ai sub-umani come te, che non hanno ben presente il fatto che questo blog è mio, scrivo il cazzo che mi pare, sono aperto al dialogo ma chiuso all’insulto. Pertanto, se qualcosa non t’è piaciuto, puoi con educazione indicarlo. Altrimenti, dirigiti a capo nord, chiedi a Paaslinna di accompagnarti, e fai come i Lemmings. E no, non ho detto Gremlins. Ma Lemmings, Lemmings, Lemmings. – FINE DELLA NOTA AL DETRATTORE.

Finlandia, mar Baltico, freddo, depressione, buio per settordici ore su ventiquattro. Quindi: Baltic porter.
Una porter, per chiarezza,è una birra scura di stile inglese, con media gradazione alcolica, toni acquosi e note di caffè, liquirizia, cacao amaro. Una Baltic Porter è la variante Baltica della medesima, con gradazione alcolica più decisa. Se uno deve leggersi un libro che parla di suicidio, farlo da sbronzo è una soluzione strategica interessante.

Nel dettaglio, a me piace “Kalevipoeg”, la Baltic Porter di Cigar City che è un birrificio americano geograficamente lontanissimo dal Baltico ma ideologicamente molto vicino all’alcolismo.

9 gradi alcolici, note di legno che si sommano ai sopracitati sentori caffettosi liquiriziosi etc derivanti dai malti tostati. Sapore sorprendentemente dolce, differentemente da quanto si potrebbe pensare. Non una birra “da sessione”, da grossi quantitativi, più una “chicca” da sorseggiare lentemante.
A meno che tu non stia per leggere un libro sul suicidio.

That’s Danifornication.

CATTEDRALE & BEVERA

IL LIBRO DI OGGI: “Cattedrale”, di Raymond Carver, Minimum Fax, 217 pagine, 9 euro.
LA BIRRA DI OGGI: “Bevera” di Birrificio Menaresta, ITA, golden ale, 4,2°.

Poi vienimi a dire che non c’è crisi. C’è talmente tanta crisi, tanta fame in giro, che quando la gente lecca un francobollo ci mette il sale e apparecchia.

C’è talmente tanta crisi che s’è dimesso pure il Papa. Ha detto “basta, non ce la faccio più. Sono stanco di questo precariato. O mi fate un contratto per l’eternità col ruolo di Divinità, oppure mi dimetto.”
Morto un Papa se ne fa un altro. Ma dimissionario un Papa? Se ne fa comunque un altro?
Comunque sia, è un evento storico. Ci sono pochissimi Papi che abbiano abdicato, e il più famoso rimane il Celestino V del gran rifiuto. Correva il 1294, le fragole sapevano ancora di fragola e il cielo era limpido.
Gli succedette Bonifacio VIII, lui rimasto alla storia non a causa di qualche rifiuto ma per un altro motivo. Era quello dello “schiaffo di Anagni”, il Papa che fu (sembra) schiaffeggiato dal condottiero Sciarra Colonna nel castello di Anagni.
Quindi, se tanto mi da tanto e la storia è Hegelianamente un ciclo, il prossimo Papa corre fortemente il rischio di essere schiaffeggiato.
Non essendoci più i castelli, magari avverrà dentro un Centro Congressi. E non essendoci più manco i condottieri, magari sarà schiaffeggiato da un Mario Monti qualsiasi, da un Beppe Grillo qualunque, da un qualsivoglia Scilipoti.

La storia è Hegelianamente un ciclo, e Murphianamente na merda. Col passare dei secoli, i valori si stanno riducendo DRASTICAMENTE.

Ma sto divagando.
Diciamo che tutto questo chiaccherar di Chiesa e Papi e quant’altro mi ha fatto venire voglia di rileggere “Cattedrale”, di Raymond Carver.
Quarta raccolta di racconti pubblicata dal povero Ray.
Un secondo, un secondo: perché, ovviamente, voi sapete che Carver scriveva solo racconti o poesie, no? Diceva (cito): “Un racconto scritto bene vale una dozzina di cattivi romanzi”.
Stacce.
Comunque, in Cattedrale trovano posto dodici racconti, dodici gemme, non stringate come gli scritti delle prime due raccolte ma nemmeno prolissi come i racconti seguenti. Cattedrale è la dimensione perfetta, è il momento in cui Carver ha mediato a puntino fra i vari “maestri” da lui scelti come fonte d’ispirazione ( Faulkner, Gardner, Hemingway), e ha generato il suo stile. Lo stile Carver. Inconfondibile.

C’è una cosa di lui che adoro: la capacità di colpire, di scavare, senza bisogno di frasi altisonanti. Carver aborrisce la parola ad effetto.
Questa cosa è importante, vorrei spiegarla bene.
Prendiamo la frase: “E crescendo impari quanto sia bella e grandiosa la felicità” è autoevidente.
E’ chiusa in se stessa, è scritta per stupire. Vuole per forza colpirti, come “Cara, scusami, potresti levarmi il cazzo dal culo?”. Ecco, così.
La frase citata (non quella del cazzo, l’altra), è stata usata non da UNO ma da ben TRE grandissimi scrittori.
Nell’ordine: Richard Bach, Paulo Coelho, Fabio Volo.
E io se li leggo tutti e tre, uno dopo l’altro, rimpiango la chiusura dei campi di concentramento.
Non solo queste tre menti illuminate del XX secolo hanno usato la stessa verità apodittica, ma l’hanno anche palleggiata in maniera pressochè identica in tre diverse opere. Ah, meraviglioso.

La frase invece: “Ho preparato altri due drink. Ho guardato fuori dalla finestra. L’Arizona non era affatto una cattiva idea.
Patti disse: “Vitamine”.” – beh questa frase non contiene alcuna verità. Ma è scritta da Dio. Non c’è alcun superlativo assoluto, alcun grado smaccatamente positivo, nessuna parola che voglia schiaffeggiarti apposta. Però è stata deposta su carta con la classe di Roberto Baggio ai tempi del Brescia.
O del vecchio Ray Carver, ai tempi di Cattedrale.
Lasciatevi mangiare la coscienza dalle sue ambientazioni domestiche, dai suoi bicchieri sempre mezzi pieni, dalle sue facce smunte dal sonno. Seguitelo nelle discussioni con un reduce del Vietnam negro o con i vicini sconfitti dalla vita che scappano in Minnesota. Annusate l’ironia che trasuda ovunque, il senso di malessere, l’odore di sudore e sigarette.
Guai a confonderlo con Bukowski, qui la storia è del tutto diverso. L’eleganza di Carver non ha niente a che vedere con le mani immerse nel fango fino al gomito del vecchio Hank.
Carver è pulito, asciutto, lineare. Straordinario nei non-detti.
Vi lascio con questo periodo:
“Dio solo sa quanto mi dispiace. Senta. Io sono solo un pasticcere. Non pretendo di essere altro. Magari una volta, anni fa, forse, ero una persona diversa. Comunque non lo sono più, se mai lo sono stato. Ora non sono altro che un pasticcere”.

Sbam.

COSA CI BEVIAMO SU?
Volevo una birra semplice. Una birra che fosse in grado di alleviare in gola il bruciore di certe frasi e certi silenzi che Carver regala.
Perciò, ho pensato a Bevera. Prodotta in provincia di Milano dal birrificio Menaresta, nel suo aroma potrete ritrovare la freschezza dei campi falciati da poco, con sentori erbacei e floreali, ma anche odore di casa, di cucina, di pane fatto da poco, di burro, di mele abbandonate in un cestino sul tavolo.
Un tocco di fiori di sambuco completa il quadro.
Il resto lo fa Ray. Fra un racconto e l’altro, una pausa per due sorsate diventa obbligatoria, necessaria.
Come piace a noi.

That’s Danifornication.

NOTA (A PIE’ DI PAGINA) AL DETRATTORE – Stacchetto, tipo jingle di Sanremo ma con in più alcuni rutti in sottofondo.
Oh detrattore, detrattore storno, che leggesti il libro e ora mi graviti intorno:come faccio dopo ogni singolo post, mi piacerebbe rimembrarti che questo è il MIO blog. E non c’è selezione all’ingresso – ma manco un elenco di inviti. Ogni confronto è ben accetto purchè portato con garbo e argomentando. Insulti o rimostranze fini a se stesse non saranno tollerate e verranno bannate senza spiegazione alcuna.
FINE DELLA NOTA POSTUMA. – altro stacchetto, stavolta tipo sigla di “Medicina 33” con la voce in sottofondo di Mike Bongiorno che grida “Allegriaaaa”.

Il Ballo della Vittoria & Quarta Runa

IL LIBRO DI OGGI: “Il Ballo della Vittoria”, Einaudi, 285 pagine, 11 euro.
LA BIRRA DI OGGI: Quarta Runa, di Montegioco.

Dopo l’acquisto shock di Balotelli al Milan oggi un’altra notizia shock. Danifornication va in diretta non solo su questo blog ma pure sul sito della casa editrice Haiku.
A chi di voi obietterà che scrivo talmente di rado che potrebbe andare in diretta pure su Telenorba, non si noterebbe, risponderò: c’hai ragione.
Ma stiamo studiando un sistema per guarire questo male.
In alternativa, pensavo di restituirvi l’IMU.
Per celebrare questa bella novità vorrei dirvi che: oggi se famo male.
Ma de brutto.
Se famo male perché oggi andrò finalmente a scomodare uno dei miti, una vacca sacra della letteratura, e per questo arriveranno UNA CIFRA di personcine col loro ditino puntato a dirmi: “…Tu!”. E una serie di altre cose poco carine.
E pure a quella persona dirò: c’hai ragione.
Però io Coelho non lo sopporto.
Perché è di questo che andremo a parlare oggi. Di Coelho, della Allende, di Marquez, e di tutta quella masnada di romanzieri sudamericani sopravvalutatissimi di cui il lettore occasionale ADORA riempirsi la bocca.
La cosa nasce dal fatto che il libro di cui tratteremo è, appunto, un libro sudamericano. Antonio Skàrmeta è quello, per capirci, del Postino di Neruda.
Ma ha scritto anche cose buone, in vita sua,sapete?
Fra cui, appunto, “il Ballo della Vittoria”.
Allora, andiamo con ordine: Coelho è il Fabio Volo cileno. Solo che è stato torturato. Cosa, per inciso, che dovremmo fare anche noi con Volo.
Ho avuto il dispiacere di leggere diversi libri, del nostro eroe. Mappazze sentimentali grondanti luoghi comuni da bar. L’esempio che amo citare è: “Se una cosa accade una sola volta è possibile che non accada una seconda, ma se è accaduta due volte stai pur certo che accadrà una terza”.
A Coè… Me stai a dì che “non c’è due senza tre”? E me lo dovevi mette dentro a un romanzo? Mi nonna me lo dice da na vita!
Molti di voi obietteranno che mia nonna è di Trastevere e non cilena. E hanno ragione, hanno tutti, sempre, ragione.
Continuo a reputare, todàvia, un insulto che Coelho scriva.
La Allende: a questa j’ha stirato la figlia per colpa di una malattia rarissima. Per vendicarsi ha iniziato a scrivere. C’è rimasta sotto e tutt’ora ce sta sotto. Scrive cose tristi come vedere Babbo Natale sotto Chemioterapici.
Molti di voi obietteranno: ma è normale che una persona prenda spunto dalle esperienze tragiche della sua vita per scrivere! E hanno ragione, hanno tutti, comunque, ragione.
Continuo a reputare, todàvia, la Allende illeggibile.
Marquez. Ecco, lui quasi me piace. A tratti, davvero, gli voglio anche bene. Ma “Cent’anni di solitudine”, quello proprio non me lo doveva fare. Al 714esimo Aureliano Buendia volevo sfilarmi la carotide con le mani. Una cosa insopportabile. Prolisso, ripetitivo, angosciante, sostanzialmente vuoto di idee e zeppo di sintagmi grammaticali ripetuti.
Vabbè, direte voi, capita anche ai migliori di sbagliare un libro. Si, ma lui c’ha vinto un Nobel per la Letteratura. Per Dìo.
Molti di voi obietteranno: mica pretenderai di fare una cattiva recensione su uno che ha vinto il premio Nobel?
E hanno ragione, hanno tutti, sfacciatamente, ragione.
Vorrei, todavia, far notare che anche Akinwande Oluwole Soyinka lo ha vinto. Nel 1986. E non se lo incula nessuno.

Veniamo a Skarmeta. Lasciamo da parte i postini in genere e occupiamoci del nostro ballo.
La traduzione italiana del titolo ha lasciato intatto il delizioso gioco di parole che cela: il ballo della vittoria non va infatti inteso con la “v” minuscola ma maiuscola.
Vittoria Ponce è infatti una dei protagonisti di questa strana storia, di questo western moderno in cui criminalità e amore si intrecciano, messi a bagno nel brodo di una scrittura tanto meravigliosamente ingenua che quasi spezza le reni.
Poi c’è Angel Santiago, un eroe-antieroe, bellissimo e coraggioso, ottimista e al tempo stesso divorato dal desiderio bruciante di una vendetta che non finisce mai.
E il maestro Vergara Gray, il personaggio indubbiamente meglio riuscito del romanzo, in grado di calamitare l’attenzione del lettore coi suoi modi compassati ed eleganti, senza mai dover strafare.

Skarmeta dipinge con mano straordinaria, le prime 7 pagine includono già due capitoli, pieni di non-detti, di vuoti d’aria che creano alla perfezione l’atmosfera. E’ tutto perfetto: i pochi ma incisivi corsivi, i personaggi secondari che entrano e escono di scena coi tempi giusti, le trovate narrative che scombinano tutto e tutto rimettono a posto. O quasi.

In definitiva, senza fare ulteriore spoiler sulla storia (che è una cosa che odio), un libro ben scritto e che si lascia leggere in fretta.

La lettura è considerevolmente migliore se accoppiata con Quarta Runa, fruit beer del Birrificio Montegioco.
Ho scelto proprio questa birra perchè richiama secondo me alla perfezione il romanzo: è una belgian ale, con tutta la ricchezza dei suoi lieviti e dei suoi malti, ma l’aggiunta in fermentazione di Pesche DOP di Volpedo regala al prodotto note acidule persistenti che si mischiano a quelle dolci dei malti e infine le sovrastano, coprendole.
E’ una birra che è come una lotta: due anime combattono fra loro, senza che una riesca a far del tutto sparire l’altra, e come spesso succede il risultato finale è più della somma delle parti.
Come per il nostro Skarmèta: nel suo libro, la vita non è dolce e zuccherosa manco per il cazzo, ma anche nel momento peggiore c’è posto per un po’ d’amore. C’è posto per vedere ancora Vittoria Ponce ballare.

E in culo a tutti i Coelho e alle loro stonate, banali canzoni d’amore.

 

That’s Danifornication.

*NOTA AL DETRATTORE* (messa alla fine, un po’ a sorpresa)-> Stacchetto, tipo Carosello:
Ciao! Se sei qui per testimoniare il tuo dissenso insultandomi, sappi che non mi interessa. Ho comunicato alcune mie opinioni personali, su un blog personale, quindi se non sei armato di dialogo e buone intenzioni, sei pregato di disdire il tuo abbonamento internet e recarti a comprare un vibratore per sfogare altrove le tue frustrazioni! Grazie!
*FINE DELLA NOTA AL DETRATTORE* -> Aristacchetto, sempre tipo Carosello ma stavolta più triste.

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CHI NON MUORE ovvero: DOVEROSE PRECISAZIONI

8 mesi che non posto. Non che pensi d’essere mancato a chicchessia, ma.

Dice…che hai fatto in 8 mesi? Hai smesso di leggere?
Negativo.
Ti sei arruolato e sei andato a combattere in Siria?
Negativo.
Hai contratto un raro virus meglio noto come “herpes alle mani” (cit.) che ti ha paralizzato le dita e impossibilitato a scrivere?
Sei forse morto?
Negativo. Chi non muore, si rivede. E noi, ci rivediamo.

In questi 8 mesi ho lavorato come uno stronzo, continuato a leggere e bere birra (a proposito: prometto solennemente una nuova recensione in tempi umani), e rifatto il trucco al mio primo romanzo.
“La Didattica dell’Odio” esce il 6 dicembre, per la casa editrice Bel Amì.

Per rendere l’idea di ciò che ho fatto, è opportuno raccontare una storia. Il libro è stato pensato nel 2007\8, iniziato nel 2009 e finito nei primi mesi del 2011. Quando con il caro Giorgio abbiamo iniziato a pensare a un saggio di filosofia sull’Odio, e io contestualmente a un romanzo, eravamo LONTANISSIMI dai moderni Grillo e grillerie varie.

Quindi, l’idea di un comico che scendesse in politica, era tutt’altro che abusata.
Complici i tempi elefantiaci dell’editoria italiana, il libro ci ha messo UNA CIFRA a apparire, e nel frattempo le cose sono andate…. beh, non dico esattamente come avevo predetto io, ma na specie.

Facile intuire che quando alla fine ho trovato qualche pazzo disposto a investire sui miei deliri, ho dovuto rimettere mano al testo.

Ecco, questo è il motivo per cui non ho postato più una sega.

Per chi vuole, l’appuntamento è per il 6 dicembre alla Fiera della Piccola e Media Editoria di Roma, “Più Libri Più Liberi”, dove scatenerò il delirio allo stand di Bel Amì. Poi, quando mi cacceranno (perchè mi cacceranno da li, sappiatelo), si continua al “The One”, discoteca attigua alla fiera.
La rivincita della letteratura sulla mondanità, invadiamo una discoteca per presentare un libro. Una vita passata a subire gli stràli di fortune avverse, che vedevano prosperare gli Art Cafè e gli Spazi ‘900 di stà cippa, luoghi in cui l’unità di misura dell’uomo è in grammi (di coca), ed ecco che mi servono calda calda l’occasione della vendetta: il mio libro blocca una discoteca. Bello, cazzo. Bella storia.

Quindi chi si vuol vendicare insieme a me di anni di tunz-tunz subita, si schieri.
Per tutti gli altri, prometto che cercherò di essere un tantinello più presente qui.
That’s Danifornication.

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Bicchieri della staffa: #1 – Il Desiderio

“Il Desiderio E’ il Desiderio: il desiderio di un Corpo di Velocità Assoluta”
(Wolfango de Biasi, regista e sceneggiatore) 

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